Telemarketing: il caso delle non-profit

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shutterstock_174884153Sono 3.5 milioni le chiamate telefoniche effettuate ogni anno dal St. Jude Children’s Research Hospital per cercare nuovi donatori e volontari. Un’attività che ha permesso all’ente americano di trovare i fondi necessari per continuare nella propria ricerca di una cura per i tumori infantili.

Ma il St. Jude Hospital non è l’unico esempio: negli ultimi anni sempre più organizzazioni non-profit hanno utilizzano il telemarketing per il proprio fundraising. Una conferma arriva anche dalla DMA Non-Profit Federation, che inserisce il telefunding tra le attività di direct marketing più efficaci per la raccolta fondi.

Per chi vive di donazioni, e non solo, è fondamentale riuscire a trovare il canale giusto per entrare in contatto con i potenziali benefattori. E per farlo bisogna riuscire a differenziare la propria proposta tra tutti i possibili canali. Alcuni donatori, infatti, usano internet e la mail ma altri, invece, preferiscono usare ancora il telefono, sentendosi maggiormente a proprio agio a parlare direttamente con le persone alle quali scelgono di donare parte del proprio denaro.

Soprattutto nel campo del non-profit diventa perciò fondamentale il contatto diretto con il potenziale donatore. Lo scopo è quello di farlo sentire importante, coinvolgendolo non solo al momento della donazione ma invitandolo anche a far parte attivamente della vita dell’organizzazione. Il telemarketing deve essere perciò improntato soprattutto sulla relazione con il donatore e sulla creazione di un rapporto duraturo.

L’esempio viene ancora una volta dal St. Jude Children’s Research Hospital che ha ben 10 programmi outbound: dalla classica ricerca fondi a quella dei volontari, fino a speciali proposte per i donatori più fedeli. Un servizio completo, che va ben oltre il semplice fundraising.

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